Papa Francesco propone anche quest’anno una importante iniziativa a tutta la Chiesa con la “24 Ore per il Signore”, che si terrà tra venerdì 8 e sabato 9 marzo con alcune iniziative decanali, che trovate sui social e sul nostro foglio “In Cammino”. In questo momento mi piace paragonare la “24 Ore per il Signore” con l’esperienza di Elia sul monte di Dio (cf 1Re 19,1-21), che viene proposta con cura nelle Giornate della comunità e nei Gruppi di ascolto della Parola. Il profeta non incontra Dio nella tempesta e nel fuoco, ma lo scopre nel “sussurro di una brezza leggera”, nella “voce tenue di silenzio”. Dio parla a Elia nel silenzio più profondo, ma gli fa sentire la sua carezza, che lo incoraggia a camminare con una fede rinnovata.
Una sosta spirituale necessaria
La vita è come una corsa a tappe non sempre tranquilla. Per questo è necessario fermarsi per fare rifornimento di forze, di motivazioni, di cibo, di relazioni familiari e amicali, di interessi vari. E per questo Gesù disse ai suoi discepoli affaticati: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’” (Mc 6,31). Ma da cristiani, oltre alla cura del corpo e dell’immagine, va aggiunta un’attenzione ai “tempi dello spirito”, perché non viviamo di solo benessere, ci è necessaria anche la Parola di Dio, che dà luce al nostro cammino. Gesù stesso ci insegna a dare un contenuto alla “24 Ore per il Signore” con la preghiera: “Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava” (Mc 1,35).
Uno stile di vita aperto al Signore
La “24 Ore per il Signore”, più che un tempo cronologico, ci offre la possibilità di fare una sosta dello spirito assumendo uno stile di vita aperto al Signore e alla sua amicizia. Pertanto si tratta di vivere sempre alla presenza di Dio. In questo ci aiutano le parole di Gesù: “Chi vuol essere mio discepolo rinneghi se stesso prenda la sua croce, ogni giorno, e mi segua” (Lc 9,23). Il Vangelo ci rende liberi quando ci invita a rinnegare noi stessi, cioè a togliere da noi ciò che rende oscura la nostra immagine di figli di Dio. E poi prendere la croce ogni giorno e seguire Gesù da discepoli non vuol dire essere chiamati alla sofferenza, ma a sperimentare la sequela gioiosa che ci dona amore e salvezza. In quel prendere la croce da discepoli c’è anche un invito a vivere ogni azione e parola nel nome di Gesù. Pertanto la “24 Ore per il Signore” non va vissuta come un tempo isolato, ma come un trampolino di lancio che immerge umilmente nel grande mistero di Dio. Questa cosa ce la insegna bene lo zucchetto rosso sul capo dei nostri vescovi, che richiama la kippah dei fedeli ebrei: ricordiamoci con molta umiltà che siamo sempre alla presenza del Signore e che egli è al di sopra di ogni creatura. Lo zucchetto (kippah) ci segnala che Dio sta in alto (oltre lo zucchetto) e noi uomini siamo in basso (sotto lo zucchetto). Però Dio non ci considera mai sottomessi, ma figli suoi, chiamati ad amare come suo Figlio Gesù.
L’esperienza del discepolo amato
Spesso nelle nostre scelte quotidiane, forse per distrazione, viviamo come se Dio non esistesse. La “24 Ore per il Signore” ci può immettere, invece, sulla strada della compagnia del Signore e può diventare anche per noi l’esperienza del discepolo amato, che nell’Ultima Cena posò il suo capo sul cuore di Gesù. Abbiamo bisogno di qualche momento particolare di intimità con il Signore, perché lo stare con Gesù ci dà coraggio, ci invita a camminare con gioia insieme ai fratelli e alle sorelle. Nel Vangelo secondo Giovanni troviamo la figura di due discepoli, che segnalano addirittura l’ora in cui sono stati con Gesù: “Quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,39). La stessa cosa ce la ricorda l’esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni che sull’alto monte della trasfigurazione, a un certo punto sommersi dalla luce divina, che anticipa la futura resurrezione, “Non videro più nessuno se non Gesù solo, con loro” (Mc 9,8). Ma poi i discepoli scendono a valle portando questa luce interiore nei loro villaggi. Le parole dei tre discepoli le troviamo scritte anche sulla porta del tabernacolo, che custodisce il “Corpo di Cristo”, nella Cappella della Trasfigurazione delle Romite del Sacro Monte: “E non videro che Gesù”. E’ questa un’esperienza di fede, che non può essere vissuta solo dalle Romite Ambrosiane.
Affidarsi con fede al mistero divino
Forse queste esperienze spirituali ricordate ci sembrano troppo alte, impossibili per noi. Però tutti siamo avvolti dal grande mistero della vita. Per questo il cardinal Martini quando scrisse “La dimensione contemplativa della vita” paragonò l’esistenza di ogni uomo e donna a un “promontorio proteso verso l’assoluto, aperto al mistero” a cui basta affidarsi per essere abbracciati. E questo è già preghiera! Però il mistero, per chi si affida con fede, è il Signore Gesù morto e risorto per amore. Con la proposta della “24 Ore per il Signore” il Papa ci invita a fare esperienze profonde e significative a cui ritornare nei momenti di aridità, di stanchezza e di scoraggiamento. Ritornare con la mente a un luogo, a un incontro spirituale con Gesù e con i fratelli della Comunità, ci fa risalire alla sorgente della vita di fede, che ci sostiene e ci incoraggia. A questa sorgente di fede, che ci apre le porte del mistero divino, possiamo risalire con l’Eucaristia domenicale, la Fraterna comunione, l’Adorazione eucaristica e la Riconciliazione sacramentale. Il Signore non nega a nessuno la sua presenza misericordiosa, basta fare un passo avanti verso di lui: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7,7-8).
don Francesco