Ci stiamo ormai avvicinando al Natale e la liturgia ci accompagna con il brano molto conosciuto dell’Annunciazione a Maria. Questo racconto ha le caratteristiche della bellezza e della profondità. Dio sceglie una ragazza, timorata di Lui, ma assolutamente sconosciuta; anche il paese in cui vive non è conosciuto. Eppure, Dio sceglie lei perché diventi la madre del Figlio di Dio. Le valutazioni del Signore non assomigliano alle nostre. Il modo di pensare e di agire da parte del Signore, a volte, ci stupisce. Lo stupore è essenziale per declinare positivamente la nostra relazione con il Signore.
Maria è “piena di grazia”; il testo greco parla di amore donato gratuitamente da parte del Signore. Maria è “amata stabilmente e gratuitamente”; è questo il senso vero del nome di Maria; è un nome che, pertanto, indica la sua missione. Affidandole questo mandato, il Signore assicura la sua presenza, che tuttavia incrocia le difficoltà di ogni esperienza umana. Il Signore accoglie volentieri le nostre domande; ci viene incontro; non ci sottrae però dalla fatica di scegliere noi la strada del bene e di maturare le nostre scelte. Lui attende il nostro impegno; desidera l’assunzione, da parte nostra, di concrete responsabilità.
Il “rallegrati” dell’angelo a Maria ci indica l’atteggiamento fondamentale da assumere. Occorre che la sua offerta trovi mani che l’accolgono e cuori che sappiano intraprendere, nella concretezza, quanto il Signore ci propone. Colui che è amore desidera trovare casa dentro di noi; così le dimore degli uomini non saranno mai abitate dall’indifferenza e dall’egoismo.
Da queste essenziali sottolineature del Vangelo di questa domenica nascono allora alcune mie considerazioni che vi affido come messaggio per questo Natale 2022.
Chi ha portato in grembo un figlio lo sa. Conosce le ansie, le meraviglie, le fatiche, i sudori e lo stupore di quei nove mesi. Sa che la vita non nasce all'improvviso, ma che ha bisogno di un tempo per prepararsi. Un tempo di attesa. Un tempo in cui fuori niente sembra succedere e tutto invece accade, nel buio fitto di un grembo. Chi ha aspettato un figlio lo sa. Sentirsi culla di un mistero che sta prendendo forma e sangue è cosa che sgomenta, che fa battere il cuore all'impazzata.
Eppure, quando festeggiamo il Natale dimentichiamo che la nascita che celebriamo, proprio quella nascita, ha avuto bisogno anche lei di prepararsi, ha dato il tempo a chi l'attendeva di stupirsi e sudare, di sentire stanchezze e gonfiori.
Non sono dal nulla le nascite.
Ma il Natale che dovremmo festeggiare non è la vuota rievocazione di qualcosa ormai lontana nel tempo: il vero Natale è quello che accade dentro di noi, nel grembo della nostra vita o, se volete, della nostra storia. Anche quello succede nel buio. Anche quello si verifica attraverso fatiche e meraviglie. E mai così all'improvviso.
Ha bisogno di tempo la nascita e ha bisogno di spazio: occorre un tempo per fare posto, nel pensiero e nella carne, a Dio.
Ripensare al Natale significa ripensare al nostro essere "ruvida paglia", la fragile realtà su cui Dio si appoggia e chiede protezione, significa chiederci se questo Dio bambino può sentirsi al sicuro tra le nostre mani, nel nostro cuore.
Sarà prezioso questo per chi vuole vivere un Natale che non sia solo una data sul calendario, ma quello scandito al ritmo lento di un'attesa che prepara uno spuntare di fragilità: un Dio bambino non si era mai visto, eppure il Verbo si fece carne. Notizia stupefacente: ciò che gli uomini della religione avevano in gran parte separato, Dio e il corpo, è sorprendentemente accaduto, non la separazione ma il congiungimento: Dio nella carne, nel corpo, nella storia come uno di noi.
Fa festa allora la nostra terra di fragilità e debolezza, perché il Natale ci parla di un Dio che non ha paura di sporcarsi. Ha percorso con amore le nostre strade: e perché non dovremmo con amore percorrerle noi? Ha creduto nell'uomo e nella donna, per quanto deboli e peccatori: e perché non dovremmo credere noi nell'uomo e nella donna così come sono?
Il Natale ci porta più vicini a questo Dio: lo fa facendoci provare il brivido e il calore di una tenerezza: la tenerezza verso un bambino caldo appena sgusciato dal ventre, lo stupore verso un Dio che si affida alle nostre mani, come se volesse insegnare che la vita è consegnarsi a una promessa.
Don Giampietro