Al centro della celebrazione eucaristica della quarta domenica di Quaresima c’è il tema della luce; il cieco dalla nascita viene illuminato dall’incontro con il Signore Gesù, dalla sua attenzione agli ammalati desiderosi di guarigione. Il racconto diviene opportunità, per parecchie persone, di conoscere il Signore Gesù e di riflettere sulle sue parole e sulle sue scelte. Il testo, infatti, presenta le differenti reazioni alla guarigione del cieco nato, da parte di coloro che sono presenti. Sorge la domanda: ma tutti coloro che incontrano il cieco dalla nascita, che ha riacquistato la vista, sono mosse dalla ricerca della verità, oppure solamente dalla curiosità o da pregiudizi e astio nei confronti del Signore Gesù? Desiderano realmente vedere meglio e comprendere ciò che è avvenuto?
L’evento della guarigione dell’uomo cieco dalla nascita che cosa cambia nel loro modo di vedere la realtà? Il ritrovamento della vista da parte di quell’uomo diventa giudizio sulla capacità di vedere da parte degli altri protagonisti del racconto; ma anche di noi che abbiamo ascoltato questo testo.
“Gesù vide un uomo cieco dalla nascita” . Che cosa c’è all’inizio di questo grande miracolo? C’è lo sguardo di Gesù. Il Maestro non vede anzitutto un malato, ma un uomo. I discepoli non solo non vedono un uomo, ma, in un certo senso, non vedono neppure un cieco; identificano invece il problema che quella cecità evidenzia: “Rabbì, chi ha sbagliato, lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?”. Non rivolgono neppure un saluto, una parola a quella persona che non vede. Gesù invece inizia la sua relazione con il cieco, parlandogli; per lui è un essere umano con cui confrontarsi. L’incontro, infatti, inizia con uno sguardo che non è inficiato da nessun pregiudizio. Gesù si pone positivamente di fronte all’uomo che soffre; non offre risposte teoriche; si interessa di lui. Di fronte alla sofferenza che intacca il corpo di una persona, Gesù non utilizza risposte teoriche; assume invece la concreta situazione che ha davanti a sè. Al cieco conferma che, anche nella sofferenza, si può assumere e narrare la misericordia e la benevolenza di Dio. Nei versetti dall’8 al 12 Gesù poi scompare. I passi e i sentimenti che accompagnano l’uomo che è stato guarito sono ora nelle sue mani. Deve scontrarsi con la realtà: una folla che non si capacita di quello che è avvenuto, i giudei che non vogliono credere al miracolo e fanno di tutto per screditare il Signore Gesù; i genitori che sono imbarazzati di fronte alle autorità giudaiche; sembra quasi che se ne lavino le mani: “Chiedetelo a lui; ha l’età; parlerà lui di sé”. Non c’è spazio per descrivere loro la sua guarigione; tutto sembra essere diventato decisamente complicato; le persone che conosceva e con cui aveva avuto rapporti, non sembrano gioire per il miracolo. Si evidenzia piuttosto la curiosità per ciò che è successo. Non alimentano lo stupore e la gioia rispetto al fatto che, l’uomo che conoscevano riesce ora a vedere.
Quanto volte corriamo il rischio di non gioire del bene che incontriamo, anche inaspettatamente, di fronte a noi. Sappiamo cogliere il mutamento delle persone con cui spendiamo i passi quotidiani della nostra esistenza?
Il cieco nato però ribadisce l’evidenza. Sa anche compiere dei passi decisivi verso la fede; verso l’affidamento totale a Gesù. Lo incontra di nuovo. Di per sé non sa di essere di fronte al Figlio di Dio. Ma neppure Gesù gli conferma che è di fronte, concretamente, a Colui che è stato mandato dal Padre sulla terra, subito dichiara la propria fede e lo adora. Ai farisei che si interrogano: “Siamo ciechi anche noi?” Gesù risponde che il problema vero non è la cecità, ma la presunzione di ritenersi nel giusto; questa durezza di cuore porta verso il peccato. Accettare lo sguardo di Gesù su di noi, significa imparare a vedere noi stessi nella verità. Apriamoci ad accogliere l’azione innovatrice del Signore Dio.
Don Peppino