Con i percorsi avviati per diventare una Chiesa sinodale, come Comunità Pastorale siamo chiamati a rilanciare molto l’annuncio evangelico facendo leva sulla responsabilità dei laici.
Quelli che una volta erano il servizio di lettore, ministro straordinario dell’Eucaristia, catechista, oggi sono diventati dei veri “ministeri istituiti”, ossia un modo di essere partecipi dell’evangelizzazione della Chiesa in maniera attiva e da protagonisti.
Si pone però il problema di “come” scegliere le persone adatte, di “chi” scegliere, secondo quali capacità... A questo proposito la nostra Chiesa diocesana ha appena redatto un nuovo documento intitolato: “I ministeri istituiti nella Chiesa missionaria e sinodale”.
Alle porte della nostra estate, con davanti il tempo necessario per riflettere circa le disponibilità da offrire, pubblichiamo oggi l’introduzione che l’Arcivescovo Mario ha scritto per il sopracitato documento... ve la lasciamo con la speranza che possa favorire il discernimento di tanti.
Da Gerusalemme o da Corinto?
Si potrebbe domandare: da quale Chiesa vengono i ministeri istituiti? Da Gerusalemme o da Corinto? Dal malumore o dall’entusiasmo?
Nelle comunità di Gerusalemme, secondo il racconto del libro degli Atti degli Apostoli (At 6,1-7) i Dodici hanno affrontato il malumore e la mormorazione perché alcuni si sentivano trascurati. Nel contesto polemico i Dodici non hanno pensato di contrastare il malumore con un impegno più intenso, con una frenesia di attività, mossi da un’ansia di prestazione. Hanno piuttosto riconosciuto di non essere adeguati alle necessità crescenti della comunità. Hanno sentito il dovere di essere coerenti con il loro compito specifico e la loro missione. Perciò hanno stimolato le comunità a indicare persone adatte per il servizio alle mense: «Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,4).
Nella Chiesa del malumore i ministeri sarebbero dunque una risorsa per soddisfare attese che non ricevono adeguata attenzione, un rimedio alla diminuzione, all’invecchiamento, all’inadeguatezza dei preti.
Lo Spirito di Dio può rendere promettente anche la decisione che nasce da una radice amara.
La comunità di Corinto, secondo la testimonianza di Paolo, vive un’esuberanza carismatica che l’Apostolo recepisce con entusiasmo, almeno secondo il tono dei convenevoli introduttivi alla Prima Lettera ai Corinzi. «La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,6 s). Nella comunità abbondano i doni dello Spirito e ne fanno una comunità vivace, in cui — si direbbe — non manca niente. Paolo sente però il dovere di intervenire orientando le espressioni carismatiche verso un ordine e uno spirito di servizio. Infatti — a quanto si può comprendere — nella comunità c’è confusione e una specie di rivalità tra le persone carismatiche, inclini più a esibire il proprio carisma e a rivendicarne l'importanza che a mettere i propri doni al servizio dell'utilità comune.
Nella Chiesa dell'entusiasmo i ministeri sarebbero un dono dello Spirito che orienta l’originalità dei fedeli e l'esuberanza disordinata della comunità al servizio del bene di tutti e della missione della Chiesa.
In quale Chiesa viviamo? Quale Chiesa vive secondo lo Spirito di Dio? Forse Efeso
Non riusciamo a riconoscerci totalmente né nella Chiesa di Gerusalemme né in quella di Corinto. Si devono riconoscere i tratti dello scontento e del malumore che esprimono il disagio di un cambiamento d'epoca: le consuetudini si rivelano insostenibili. In particolare, le pretese verso i preti che, riducendosi di numero, facciano tutto e bene e subito quello che facevano preti più numerosi, più giovani, più popolari si rivelano lontane da uno spirito evangelico. Essere discepoli del Signore impegna a servire, non a essere serviti. Si devono riconoscere anche i tratti, più rari però, dell'entusiasmo di farsi avanti per chiedere che venga riconosciuto il carisma particolare. Anche la pretesa di riconoscimento porta i segni di uno stile lontano dallo spirito evangelico. Essere discepoli del Signore comporta di rinnegare sé stessi per seguire Gesù, piuttosto che esigere un riconoscimento e un ruolo.
Diamo quindi avvio operativo a un percorso di discernimento, di formazione, di accompagnamento per giungere all’Istituzione dei ministeri dell’Accolitato, del Lettorato, del Catechista.
Forse partiamo dal malumore, forse partiamo dall’entusiasmo: ma verso dove andiamo? Per continuare a fare riferimento alle immagini offerte dalle chiese degli inizi, invoco ogni dono dello Spirito Perché nella nostra Chiesa si possano riconoscere lo stile e le scelte che Paolo raccomanda alla Chiesa di Efeso. Propongo per tanto di leggere, meditare e assimilare le parole di Paolo che mettono in evidenza il tema della vocazione personale come responsabilità per l’edificazione dell’unico corpo di Cristo e dicono dello stile evangelico di questo cammino di Chiesa:
Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
(Ef 4,1-7.11-13)