Entriamo così nella Settimana Santa, la “settimana autentica” per ogni cristiano.
Tutti noi - nessuno escluso - possa sentirsi coinvolto nel Mistero Pasquale di Cristo. Tutti potremmo essere un po’ Simone, un po’ Giuseppe d’Arimatea, un po’ Nicodemo, un po’ una delle Marie… e fare esperienza “diretta” dell’incontro con Colui che “ci amò fino alla fine!”.
Con questo spirito possiamo “leggere” gli avvenimenti della “Grande e Santa Settimana”, nella quale l’Amore di Dio sorpassa le nostre miserie. Certamente non si deve considerare la “Settimana Santa” come settimana conclusiva della Quaresima ma, come scrive un autore, “vorremmo definirla la prima settimana del nostro credere in Gesù, il figlio di Dio, venuto sulla terra per essere la Luce nuova del mondo intero”. Eppure, le premesse non sono incoraggianti.
1. Il tempo del dolore…
Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo giorni quali ci sembrava di non dover vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione delle violenze si ha l’impressione di essere stancamente ripetitivi. La nostra coscienza morale esce schiacciata da questa temperie di dolore. È il tempo del torchio. Il nostro animo si gonfia di turbamento. Siamo presi dallo sconforto…
Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il «belvedere» delle nostre contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
2. La Croce…
Eppure… Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto. La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglienza della croce, è accettazione della volontà del Padre. È una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita.
La nostra vita cristiana purtroppo tante volte non incrocia il cammino del Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Noi, la croce, l’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. La croce l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate, nel centro storico delle nostre memorie religiose, all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti, ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!
3. Non è l’ultima parola…
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: «Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.
4. Coraggio, comunque! Noi credenti, nonostante tutto, possiamo contare sulla Pasqua
Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno». Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo, di una comunità nuova, di un genitore nuovo, di un giovane nuovo, di un cristiano nuovo. … che voglia di nuovo che mi viene!
Don Giampietro