... Perché il fuoco del Vangelo resti acceso

... Perché il fuoco del Vangelo resti acceso

Concludiamo il cammino di quest’anno circa la formazione adulti nella forma della “giornata della Comunità” con una provocazione che dovrebbe rilanciarci verso un nuovo modo di essere chiesa nella società.
Siamo partiti dalla necessità della preghiera come “motore di propulsione” del nostro essere chiesa in uscita, per essere testimoni credibili.

Il secondo passo è stato quello di riconquistare le motivazioni di fede perché non si può annunciare un Vangelo che non si conosce e che non ha conquistato prima di tutto chi lo annuncia.
Ecco il terzo passo: la constatazione della perdita di evidenza dell’Eucaristia domenicale, che invece dovrebbe essere il punto focale originante. Ci siamo chiesti come ritrovare questa freschezza fontale.

Da qui l’ultimo passo: chi sono i protagonisti di questa nuova evangelizzazione? A chi tocca principalmente essere “chiesa in uscita”?
Anche da questo punto di vista si sta rendendo sempre più evidente che i sacerdoti non sono più in grado di essere gli unici protagonisti dell’annuncio cristiano, non solo per il sempre più preoccupante calo numerico, ma soprattutto perché è arrivato il momento di far chiarezza sui compiti delle specifiche vocazioni all’interno della Chiesa, riscoprendo e portando definitivamente in luce il ruolo dei laici. Papa Francesco e l’Arcivescovo Mario, fra i tanti, stanno spingendo in questa direzione. Riportiamo, come uno dei tanti inviti al riguardo, le parole proprio di quest’ultimo: “Tocca a noi. Tutti insieme. [...] Infatti, tutti sono “pietre vive” chiamate a costruire questo segno che la vocazione alla fraternità universale può trovare casa, non solo discorsi, può scrivere la storia, non solo libri”.

(Mario Delpini, Tocca a noi, tutti insieme. Discorso alla Città 2020)


Se ognuno deve finalmente tornare a svolgere il proprio compito, ecco allora le provocazioni per il nostro ultimo incontro circa la missionarietà della Chiesa.

1. È l’ora dei laici? «Sembra che l’orologio si sia fermato!»
Non c’è dubbio, dunque, che, a partire dall’ultimo concilio, nella vita della chiesa la presenza dei laici e la loro azione abbiano assunto una precisa fisionomia del credente oltre che della titolarità ecclesiale degli stessi laici. Tuttavia, gli entusiasmi conciliari hanno fatto presto i conti con rapide trasformazioni sul piano sociale che hanno catturato l’attenzione a favore di altre questioni ritenute più urgenti e decisive.
Il laico nella chiesa del futuro non potrà evitare di fare i conti con una formazione cristiana che possa renderlo pronto a dare ragione del proprio vissuto credente. Nel tempo attuale, però, e nel futuro ancora meglio, non è e non sarà più pensabile rassegnarsi a una mentalità di fede ferma a un livello di alfabetizzazione, incapace di sostenere con qualità la proposta di una vita cristiana che è fortemente sfidata dai contesti attuali nei quali i laici e le laiche vivono e operano. Ma in questo lasso di tempo abbiamo dei laici pronti a sostenere questa missione?

In alcuni casi non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi non hanno trovato spazio nelle loro chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Spesso li abbiamo limitati a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del vangelo alla trasformazione della società.

Cosa manca ai laici oggi per essere pronti a compiere la loro parte di annuncio del Vangelo?

2. Chiesa in uscita. Ma chi esce, e come?
Incisiva, provocatoria, incoraggiante. L’espressione ormai nota di papa Francesco: la “Chiesa in uscita!” Invita i cristiani a non avvitarsi su sé stessi, a non arroccarsi in un legnoso crogiuolo, tra l’inerzia che nasce dalla paura o dalla pigrizia e il vittimismo generato dalla diffusa indifferenza verso la fede e dalla più o meno velata persecuzione verso la religione cristiana. 

La Chiesa in uscita. Raccoglie, riproponendolo, nientemeno che il comando dato da Gesù Cristo agli apostoli: andate, andate in tutto il mondo! Quando ha scardinato le porte del cenacolo con il suo Spirito che abilita i mandati e li libera da ogni timore.

Ma se vogliamo dare concretezza a questo “uscire” e non lasciarlo nel limbo di una semplice pur se significativa espressione, è necessario mettere sul tavolo due considerazioni speculari. Tanto ovvie da apparire banali.

a. La prima: per uscire è necessario che ci sia “dentro” qualcuno.
b. La seconda: che uscendo uno abbia qualcosa di significativo da offrire.

Tradotto in uno sguardo alla Chiesa: è indispensabile che essa sia ancora abitata e che gli abitanti abbiano la consapevolezza del decisivo incontro con Gesù Cristo in ordine al senso della vita e della vocazione battesimale nell’edificare la comunità. Solo così si potrà uscire, e non a mani vuote o con parole inascoltate, ma per essere “sale e lievito” della storia umana secondo il disegno del Signore.

Tradotto in moneta nell’oggi: è tempo di rivisitare in modo radicale i percorsi di accoglienza e di cura, di iniziazione alla fede e alla vita cristiana delle nostre comunità. Per i ragazzi e gli adulti con loro, senza nostalgie e riproposizioni di stile, tempi, metodi e contenuti oggi inefficaci, come la realtà dimostra.

È tempo di una formazione forgiata con la Parola, con la contemplazione orante, con esperienze vive di comunità. Aperta a tutti, ma senza attardarsi sui numeri; centrata non tanto su “dottrine”, ma sui due pilastri essenziali: il “volto” di Gesù Cristo e la “porta” della chiesa. Due elementi portanti per una vita cristiana nella sua essenzialità. Sui quali potrà reggersi un più completo edificio di fede, nella misura in cui uno avrà percepito il bello del vivere secondo Cristo e il bello del vivere in comunione con gli altri. Una fede consapevole e matura per una vita “originale”.

E se vogliamo stare nel momento presente, a modo esemplificativo, ci sta una Chiesa della consolazione attraverso la vicinanza e la preghiera, come è stato fatto in modo abbondante; ci sta una Chiesa della caritas dai pacchi alimentari e dalle bollette pagate, dell’ascolto attento, preludio di un accompagnamento fraterno, vero nutrimento di speranza. Ma dobbiamo chiederci se la Chiesa non rischi di essere carente proprio nell’offrire la carità del Vangelo della vita, del senso del vivere alla luce della fede, una fede più che mai incarnata e illuminante l’oggi e il domani nei suoi vari passaggi di croce e di risurrezione.

Solo allora saremo “in uscita” con mani e cuore colme non tanto del nostro bene, ma di... ogni ben di Dio, per manifestare un volto bello della Chiesa.

Quale messaggio di novità di vita il “normale vicino di casa” oggi ha necessità di sentirsi rivolgere da noi che “viviamo di Vangelo”?

3. “Chiesa in uscita” ... “uscita dalla Chiesa”?
Siamo arrivati al punto di non ritorno in cui per diventare “Chiesa in uscita” diviene necessario che cresca la voglia di rimettersi in gioco, di abbandonare consuetudini e schemi dati ormai per scontati, programmi e organigrammi inscalfibili, per chiedersi di cosa hanno veramente bisogno oggi le persone, le famiglie, le comunità, cosa è veramente essenziale per la loro vita, per la loro fede.

Forse questo risultato non lo si potrà raggiungere finché tutti noi non diventiamo “credenti inquieti”, richiamandosi a quella “santa inquietudine” a cui più volte ci ha richiamato Papa Francesco. Quell’inquietudine che nasce da una fede che non anestetizza la vita ma, al contrario, la assume in tutta la sua bellezza e ricchezza, e anche nella sua complessità e difficoltà. E che per questo sa misurarsi con le domande, i dubbi, le fatiche della vita, scoprendo proprio dentro di esse la profondità del mistero dell’amore del Signore. Una fede che non può lasciare indifferenti, tiepidi, rassegnati, perché chiede a ciascuno di gettare tutto sé stesso nella vita di ogni giorno, nelle relazioni, nel lavoro e nello studio, nella costruzione di una società più umana, nel camminare dentro una Chiesa che vuole bene al proprio tempo. È in questo senso, credo, che don Primo Mazzolari diceva che “le più belle pagine della storia della Chiesa sono state scritte da anime inquiete”.

Cosa suggerisco perché la comunità cristiana diventi capace di raggiungere coloro che non si lasciano raggiungere: genitori dei ragazzi dell’iniziazione cristiana, famiglie giovani, fratelli in seconda unione, giovani “pendolari”, adolescenti sulla soglia...?

Don Giampietro